Papa Francesco: “Giù le mani dall’Africa”
La prefazione di Chimamanda Ngozi Adichie al nuovo libro di papa Francesco “Giù le mani dall’Africa!”.
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Sono cresciuta in Nigeria, negli anni Ottanta. La mia era una generazione di africani assetata di eroi. Ne avevamo trovato uno in Patrice Lumumba, colui che per primo divenne primo ministro del Congo indipendente. Nel periodo precedente all’indipendenza, il Congo aveva vissuto la barbarie del colonialismo belga(…). Lumumba voleva curare le ferite della sua gente. Era carismatico e coraggioso, determinato a raggiungere un’effettiva indipendenza dal Belgio,(…) Di conseguenza veniva considerato una minaccia per le ambizioni neocolonialistiche dell’Occidente. Restò in carica solo pochi mesi, finché non fu assassinato dagli interessi belgi e americani. Lumumba era un simbolo amatissimo. (…) Aveva a cuore il benessere del popolo congolese, ma venne ucciso da coloro il cui interesse era il controllo delle risorse congolesi. Siccome il Congo è ricco di risorse, come lo stagno, il tungsteno, l’oro e l’uranio, ha sempre attirato l’interesse dell’Occidente. (…) Per il Congo l’assassinio di Lumumba ha significato l’inizio di un conflitto interminabile. Sono morte milioni di persone, ci sono milioni di sfollati interni, a milioni si sono rifugiati in altri Paesi.
È in questo contesto storico che va letta la visita di papa Francesco in Congo e in Sud Sudan. «Giù le mani dall’Africa!»: che titolo incoraggiante per questo libro e che tema incoraggiante per la sua visita! Una metafora importante per additare un Paese le cui risorse sono state a lungo sfruttate, per un Paese sfinito da saccheggi e conflitti. È tempo, suggerisce papa Francesco, che le mani violente e rapaci lascino stare il Congo, che siano le mani della pace e della cooperazione a prendersi cura di questa terra bella e martoriata. (…)
Per papa Francesco, tutto ciò che affermiamo in nome della religione o della fede deve passare attraverso uno sguardo incentrato sulle persone. E tanto più in Africa, un continente che tradizionalmente per il resto del mondo ha contato non per l’umanità della sua gente, quanto invece per le sue risorse. Di conseguenza la più grande tragedia del Congo non sono i conflitti interni, ma il silenzio del mondo. (…) Ritengo che la visita di papa Francesco in Congo, e i forti messaggi che lì ha pronunciato, vadano letti come un rimprovero al mondo. Portando l’attenzione sulla condizione del popolo congolese, papa Francesco si è assunto il ruolo di difensore simbolico dell’umanità africana. Il suo messaggio non è semplicemente che il Congo – e, per estensione, l’Africa – conta, ma che conta solo per un motivo. Non per le sue risorse (…) ma semplicemente per le persone. L’Africa conta perché gli africani contano.
Ascoltando le testimonianze inquietanti e dolorose delle vittime della guerra e rispondendo ad esse, papa Francesco sottolinea ancora una volta la centralità del suo impegno umanitario. (…) C’è da attenderselo, che il Papa predichi un messaggio di pace in un Paese provato dalla guerra come il Congo. E durante tutta la visita in effetti egli predica la pace, ma riesce anche a introdurre una prospettiva insolita. Nell’omelia durante la messa all’aeroporto di Ndolo afferma che «in un mondo scoraggiato per la violenza e la guerra, i cristiani fanno come Gesù». Ovviamente, non intende che i cristiani devono essere Dio com’è Dio Gesù, ma piuttosto che devono guardare all’esempio che ha dato Gesù. Parla della crocifissione e di quanto sia inatteso il messaggio che Cristo rivolge ai suoi apostoli quando alla fine si mostra ad essi. Il messaggio di Cristo era un annuncio di pace. Fu quando gli apostoli avevano il morale a terra, sopraffatti dalla disperazione per via della morte di Cristo, che Lui stesso portò loro quell’inaspettato messaggio di pace. Quindi il messaggio di pace di Cristo è particolarmente adatto a un Paese come il Congo. (…)
Come scrittrice apprezzo molto la vena di genuino realismo che spicca nell’atteggiamento di papa Francesco (…) Il suo approccio è sempre articolato e mai semplicistico. Quando chiede alle persone di guardare oltre l’identità per trovare l’unità, non sta suggerendo che debbano per questo motivo ignorare l’importanza dell’identità. «Disarma il tuo cuore»: così esorta i congolesi invischiati nelle aspre rivalità etniche, ma al tempo stesso chiarisce come egli non pensa che loro debbano smettere di indignarsi o di denunciare il male. (…) L’ampiezza e l’inclusività che animano la visione di papa Francesco suggerisce sia una Chiesa fiduciosa sia la sua personale fiducia nella Chiesa. È una fiducia fondata sull’umiltà, ed egli ne trae il coraggio per rendere ferma e inequivocabile la sua denuncia della guerra. È fonte di gioia anche osservare con quanta chiarezza invoca la pace «senza se e senza ma». Fa riferimento a Cristo che nell’orto del Getsemani dice al suo discepolo che ha estratto una spada: «Basta così!».
E basta così, davvero, alla serie interminabile di conflitti in Congo. Evidenzia il fatto che i cristiani devono scegliere da che parte stare, che non si può rimanere indecisi di fronte a tanta violenza: «Chi scatena guerra e violenza tradisce il Signore e rinnega il suo Vangelo». Forse anche i potenti che tacciono di fronte alla guerra tradiscono il Signore: questa accusa si potrebbe credibilmente rivolgere a diversi Paesi occidentali. Anche se non partecipano alla guerra, la loro inazione la rende possibile.
Nella visita di papa Francesco si può vedere un modo per accogliere il futuro, perché è evidente che il futuro del cattolicesimo è nel Sud del mondo, soprattutto in Africa. Più ancora, tuttavia, la sua visita è un omaggio all’importanza primaria degli esseri umani comuni. (…) Ecco un leader che dà l’esempio, esortando gli altri a non perdere il senso di meraviglia davanti all’incontro umano e allo stesso tempo esprimendo la propria meraviglia nell’incontro con il popolo del Congo e del Sud Sudan. Sono una grande ammiratrice del lavoro di papa Francesco e «Giù le mani dall’Africa!» mi regala una piccola speranza per il Congo, il Sud Sudan e per l’amato continente dal cuore spezzato che chiamo casa.