Il mondo LGBT+ raccontato dalla fotografia
“Rifiutavo il ruolo che veniva chiesto di occupare alle donne, i travestiti mi hanno fatto capire che tutti abbiamo il diritto di decidere chi siamo“. Così aveva risposto Lisetta Carmi, nota pianista e fotografa, a chi le aveva chiesto il motivo del suo interesse verso quelle minoranze più deboli relegate negli angoli più nascosti delle città. I suoi soggetti prediletti, i “travestiti“, al tempo non erano accettati e tanto meno riconosciuti dalla società.
Nata a Genova il 15 febbraio 1924, Annalisa “Lisetta” Carmi apparteneva a una famiglia ebrea e presto venne a contatto con le leggi razziali che la costrinsero a fuggire in Svizzera fino al 1945. Fin da bambina si era dedicata al pianoforte, e una volta tornata in Italia riprese in mano la sua passione: si laureò al conservatorio di Milano e iniziò una carriera da concertista in giro per il mondo. Tuttavia, presto si scontrò con le lotte sociali, alle quali prese parte con vigore, arrivando ad abbandonare definitivamente il piano nel 1960, in modo da potersi dedicare a un’altra passione che le avrebbe permesso di fare qualcosa a favore dei più deboli: la fotografia. Mollare il pianoforte si manifesta come un atto di ribellione, quando il suo insegnante la scoraggia dal partecipare a una protesta per non rovinarsi le mani.
«Se le mie mani sono più importanti dell’umanità allora lascio il pianoforte».
Lisetta Carmi

Fonte: collezionefarnesina.esteri.it
Conoscendo bene il significato di discriminazione a causa delle leggi razziali del 1938, Lisetta è dotata di un’incredibile sensibilità e non ci pensa due volte a schierarsi dalla parte dei più deboli, i poveri, gli emarginati sociali. Così, grazie al suo modo anticonvenzionale di vedere il mondo, Carmi gira per il mondo e utilizza la fotografia come strumento di conoscenza, per far vedere alla gente ciò che spesso passa inosservato, raccontando la vita delle fasce sociali più umili.
Il suo lavoro più celebre inizia nel 1966, quando viene a contatto con la comunità di persone transgender e travestiti che occupava l’ex ghetto di Genova. Da allora nasce un profondo legame con loro, e Lisetta si impegna nel fotografare e raccontare le vite di queste persone rinnegate ed escluse dal resto della popolazione. I suoi scatti, accompagnati dai testi delle interviste dello psichiatra Elvio Fachinelli, andranno poi a formare una raccolta, I travestiti, pubblicata nel 1972. Inizialmente questa venne rifiutata dal pubblico, scandalizzato e incredulo, dal momento che nessuno prima di allora aveva mai pensato di dare peso a queste persone, tantomeno con un mezzo potente come la fotografia.
Con il passare degli anni, le fotografie di Lisetta Carmi iniziarono a essere rivalutate e ad acquisire sempre più successo, grazie al garbo e alla sensibilità con la quale ha immortalato questo gruppo, permettendo loro per la prima volta di avere una voce e di potersi raccontare senza veli. Lisetta si è legata da subito alla comunità, instaurando con loro un rapporto di reciproca stima, rispetto e soprattutto, accettazione.
Grazie alla comunità trans ho imparato ad accettarmi. Quando ero piccola guardavo i miei fratelli Eugenio e Marcello pensando che avrei voluto essere un maschio come loro.Sapevo che non mi sarei mai sposata, e rifiutavo il ruolo che veniva chiesto di occupare alle donne. I travestiti mi hanno fatto capire che tutti abbiamo il diritto di decidere chi siamo.
Lisetta Carmi
Ad oggi, la comunità LGBT+ italiana, e in particolare quella trans, deve molto all’impegno sociale della fotografa, la quale è riuscita (anche se in parte) a normalizzare l’anticonformismo e a dare loro spazio di rappresentazione, anche quando ancora non possedevano un’accettazione sociale riconosciuta.
Monica Poletti