Politica estera
Guerra atroce, mediazione fragile
Sopravviverà per mesi l’impressione che i tempi per una vera trattativa sulla guerra d’Ucraina non siano maturi. Si tenta solo di tenere teso un filo. E così almeno fino a novembre, quando Joe Biden saprà di quali margini di manovra godrà nei prossimi due anni alla Casa Bianca.
Se davvero sarà «azzoppato», secondo i pronostici (anche amici) sul voto di Midterm, avrà le mani legate per qualsiasi intervento rilevante in politica estera: prerogativa del Senato dove finora conta del minimo vantaggio assicuratogli dalla vicepresidente Kamala Harris. Sull’altro fronte ci sarà, invece, un Vladimir Putin che avrà ancora più di un anno per ‘combattere’ con pieni poteri e duro protagonismo diretto la guerra per procura che dal 24 febbraio devasta l’Ucraina.
Quindi anche i rinnovati i tentativi del leader turco Recep Tayyip Erdogan di impancarsi a grande mediatore della crisi e anche quelli di António Guterres, segretario generale di un’Onu semiparalizzata, sembrano destinati a restare un motore che gira a vuoto. Il decisivo pedale della frizione lo può premere solo uno dei protagonisti della «Guerra fredda 2.0»: un braccio di ferro che, rispetto a quella archiviata con il crollo del Muro di Berlino, è però asimmetrico. Perché c’è un terzo big, la Cina di Xi Jinping, che pesa sempre di più e cresce di ruolo con progressione poderosa.