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Editoriale del 18 agosto

Ridare peso e valore alla parola nel tempo della sua riduzione a chiacchiera

Con il suo ultimo libro, “Benedetta parola. La rivincita del tempo“, Il Mulino, 2022) prosegue il lavoro di Ivano Dionigi, iniziato da tempo, sullo statuto della parola e sulla sua esperienza. Si tratta di un programma teorico: è possibile opporre resistenza alla tendenza egemone nel nostro tempo che vorrebbe fare evaporare il peso della parola, disossarne l’esistenza, ridurla a mero strumento pubblicitario di comunicazione o di propaganda, alla superficie senza rilievi della chiacchiera? È possibile tornare ad avere cura delle parole?

La diagnosi di Dionigi è una diagnosi estremamente critica: il nostro tempo ha svuotato di senso l’esperienza della parola disgiungendola da quella della verità. È quello che Platone racconta nel Sofista: la parola di un retore può valere più di quella di un saggio come la parola accattivante e permissiva di un pasticciere, di fronte ad un pubblico di bambini malati, può ottenere più credito di quella severa di un medico che prescrive una necessaria e restrittiva cura alimentare.

Ma come ridare peso e valore alla parola nel tempo della sua consumazione pubblicitaria, della sua riduzione a chiacchiera? È la parte più costruttiva di questo libro. Nel baccano dell’uso inflazionato di una parola vuota, dissociata dalla verità, il primo passo da compiere che Dionigi ci indica in totale controtendenza rispetto alla vulgata del nostro tempo che propone un uso inflattivo della parola, consiste nel sapere custodire il silenzio. È l’ammonimento formulato da Beckett in Murphy che non a caso troviamo nelle prime pagine di questo libro come una sorta di incipit: preservare il «silenzio del lutto». Questo silenzio è un provvedimento necessario per contrastare l’incuria delle parole, il «parlare male», per non aderire al populismo dilagante che sospinge a preferire la consolazione alla verità.

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