Kandahar, la città senza donne
«Il primo a scomparire è il contesto. Puoi guardare solo davanti, non vedi che cosa accade intorno a te. Poi, si affievolisce l’immagine frontale. I contorni si offuscano. La rete mescola colori e forme. Infine sparisci anche tu». La voce di Habebe fluisce attraverso il cotone azzurro del burqa. Impossibile intuirne i lineamenti: è solo un involucro di stoffa che cammina, a volte a fatica, sulle vie di pietra di Kandahar. Con la mano destra deve tenere uniti i due lembi di stoffa che lasciano libere le gambe, in modo da celarle. I passi, dunque, sono piccoli, l’equilibrio precario. Il velo integrale, che le copre faccia e corpo, non è un indumento pensato per percorrere lunghe distanze. Per correre. Per passeggiare con una borsa in mano. Per chi, come Habebe, deve farlo, ogni movimento diventa una lotta con le pieghe di stoffa. L’idea è proprio quella di scoraggiarne gli spostamenti, costringendola a ritirarsi in casa. A sparire, appunto.