Ricordo di brutto evento la storia insegna
Bombardamenti atomici di Hiroshima
I bombardamenti atomici di Hiroshima furono un attacco nucleare, attuata sul finire della seconda guerra mondiale e compiuta dagli Stati Uniti contro il Giappone, che segnarono l’epilogo del conflitto.
La mattina del 6 agosto 1945, alle ore 8:15, l’aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica Little Boy sulla città di Hiroshima.
Il numero delle vittime dirette è stimato tra le 150 000 e le 220 000 persone, quasi esclusivamente civili: per la gravità dei danni causati – diretti e indiretti – e per le implicazioni etiche ad essi correlate, si è trattato del primo ed unico utilizzo in guerra di tali armi, sebbene il loro sviluppo abbia registrato una pericolosa impennata negli anni seguenti.

La scelta della data del 6 agosto si basò sul fatto che nei giorni precedenti diverse nubi stratificate coprivano la città, mentre il giorno dell’attacco il tempo era variabile. Per far sì che la scelta fosse presa, fu deciso di far decollare, prima della missione vera e propria, un B-29 senza armamento, il cui compito era quello di indicare al comando la situazione meteo sopra le città designate per lo sgancio. L’obiettivo inizialmente previsto per il bombardamento atomico era Kokura, ma, a causa delle nubi estremamente fitte che sovrastavano l’agglomerato urbano, si ordinò di cambiare bersaglio. Quando gli altri B-29 stavano già volando, ricevettero la risposta affermativa per bombardare Hiroshima. Tutti i dettagli, la pianificazione precisa della tabella di volo, la bomba a gravità e l’armamento dell’ordigno con i suoi 60 kg di U235 (uranio 235), vennero studiati nei minimi particolari e tutto si svolse così come era stato stabilito a tavolino.
Circa un’ora prima del rilascio della bomba, la rete radar giapponese lanciò un allarme immediato, rilevando l’avvicinamento di un gran numero di velivoli statunitensi diretti nella zona meridionale del Giappone. Il segnale di pericolo venne diffuso anche attraverso trasmissioni radio in moltissime città nipponiche e fra queste anche la stessa Hiroshima. Gli aerei si avvicinarono alle coste dell’arcipelago ad una quota molto elevata.
Poco prima delle 08:00 la stazione radar di Hiroshima stabilì che il numero di velivoli entrati nello spazio aereo giapponese era basso, probabilmente non più di tre, e perciò l’allarme aereo venne ridimensionato (il comando militare giapponese infatti aveva deciso, per risparmiare il carburante, di non far alzare in volo i propri aerei per le formazioni aeree statunitensi di piccole dimensioni). I tre aeroplani statunitensi erano i bombardieri Enola Gay, The Great Artiste e un altro aereo, in seguito chiamato Necessary Evil, cioè “male necessario” (l’unica funzione di questo velivolo fu quella di documentare, attraverso una serie di fotografie, gli effetti dell’impiego dell’arma atomica).
Alle 08:14 e 45 secondi Enola Gay sganciò “Little Boy” sul centro di Hiroshima; il sensore altimetrico era tarato per effettuare lo scoppio alla quota di 600 m dal suolo, dopo 43 secondi di caduta libera. Immediatamente dopo lo sgancio, l’aereo fece un’inversione di 178°, prendendo velocità con una picchiata di circa 500 m e perdendo quota, allontanandosi alla massima velocità possibile data dai quattro motori a elica. L’esplosione si verificò a 580 m dal suolo, con una detonazione equivalente a sedici chilotoni, uccidendo sul colpo tra le 70 000 e le 80 000 persone. Circa il 90% degli edifici venne completamente raso al suolo e tutti i 51 templi della città vennero completamente distrutti dalla forza dell’esplosione.
Testimone oculare del bombardamento di Hiroshima fu il padre gesuita e futuro generale dei gesuiti Pedro Arrupe, che allora si trovava in missione in Giappone presso la comunità cattolica della città e che portò aiuto ai sopravvissuti. Riguardo al bombardamento atomico, egli scrisse:
«Ero nella mia stanza con un altro prete alle 8:15, quando improvvisamente vedemmo una luce accecante, come un bagliore al magnesio. Non appena aprii la porta che si affacciava sulla città, sentimmo un’esplosione formidabile simile al colpo di vento di un uragano. Allo stesso tempo porte, finestre e muri precipitarono su di noi in pezzi. Salimmo su una collina per avere una migliore vista. Da lì potemmo vedere una città in rovina: di fronte a noi c’era una Hiroshima decimata. Poiché ciò accadde mentre in tutte le cucine si stava preparando il primo pasto, le fiamme, a contatto con la corrente elettrica, entro due ore e mezza trasformarono la città intera in un’enorme vampa. Non dimenticherò mai la mia prima vista di quello che fu l’effetto della bomba atomica: un gruppo di giovani donne, di diciotto o venti anni, che si aggrappavano l’un l’altra mentre si trascinavano lungo la strada. Continuammo a cercare un qualche modo per entrare nella città, ma fu impossibile. Facemmo allora l’unica cosa che poteva essere fatta in presenza di una tale carneficina di massa: cademmo sulle nostre ginocchia e pregammo per avere una guida, poiché eravamo privi di ogni aiuto umano. L’esplosione ebbe luogo il 6 agosto. Il giorno seguente, il 7 agosto, alle cinque di mattina, prima di cominciare a prenderci cura dei feriti e seppellire i morti, celebrai Messa nella casa. In questi momenti forti uno si sente più vicino a Dio, sente più profondamente il valore dell’aiuto di Dio. In effetti ciò che ci circondava non incoraggiava la devozione per la celebrazione per la Messa. La cappella, metà distrutta, era stipata di feriti che stavano sdraiati sul pavimento molto vicini l’uno all’altro mentre, soffrendo terribilmente, si contorcevano per il dolore.»