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Editoriale del 27 luglio

Il 27 luglio 1835 nasceva Giosuè Carducci

Il 27 luglio 1835 nasceva Giosuè Carducci, poeta, scrittore, critico letterario e accademico italiano, nonché primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura, e primo italiano in assoluto, insieme a Camillo Golgi, a vincere il Nobel nel 1906.

Giuseppe Carducci (Valdicastello, 27 luglio 1835 – Bologna, 16 febbraio 1907) è stato un poeta, scrittore, critico letterario e accademico italiano.
Giosuè Carducci nacque la sera del 27 luglio 1835, venendo battezzato nella chiesa locale il giorno successivo. La scelta del nome fu contesa dai genitori; il padre voleva chiamare il nascituro Giosuè, come un amico reincontrato, dopo parecchio tempo, durante la gravidanza della moglie, mentre Ildegonda avrebbe preferito Alessandro, come suo padre in quel momento gravemente malato. La spuntò Michele, ma Alessandro fu comunque il secondo nome del futuro poeta. Giuseppe, il terzo nome, gli fu assegnato in omaggio al nonno paterno. Il piccolo Giosuè cresceva già mostrando in nuce le caratteristiche che lo contraddistingueranno per tutta la vita: ribelle, selvatico, amante della natura. Michele, il padre, disponeva di una discreta biblioteca, in cui si riflettevano le predilezioni classico-romantiche e quelle rivoluzionarie. Qui Carducci poté voracemente impegnarsi nelle prime letture, e scoprire l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, la Gerusalemme liberata, la Storia romana di Charles Rollin e la Storia della Rivoluzione francese di Adolphe Thiers. Nei dieci anni a Bolgheri la famiglia visse in povertà e non era possibile per Giosuè frequentare le scuole; il padre incaricò così il sacerdote Giovanni Bertinelli di dargli lezioni di latino durante il giorno, mentre la sera era direttamente Michele a impartirgli l’insegnamento della lingua romana che il giovane amò profondamente sin dall’inizio.Già in questi anni cominciò a cimentarsi nella composizione di qualche verso, la Satira a una donna (1845) e l’appassionato Canto all’Italia (1847).  La permanenza nella Maremma è testimoniata e rievocata con affettuosa nostalgia nel sonetto “Traversando la Maremma toscana” (1885) e in molti altri luoghi della sua poesia. Del nucleo familiare fa anche parte la celeberrima Nonna Lucia, una figura determinante nell’educazione e formazione del piccolo Giosuè tanto che il poeta la ricorda con grande affetto nella poesia “Davanti San Guido”. Il 28 aprile 1849 i Carducci giungono a Firenze. Giosuè frequenta l’Istituto degli Scolopi e conosce la futura moglie Elvira Menicucci, figlia di Francesco Menicucci. L’11 novembre 1853 il futuro poeta entra alla Scuola Normale di Pisa. Dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, insegna retorica al liceo di San Miniato al Tedesco. La sera di mercoledì 4 novembre si uccide il fratello Dante squarciandosi il petto con un bisturi affilatissimo, l’anno dopo, muore anche il padre. Un anno di lutto e il poeta finalmente si sposa con Elvira. In seguito, dopo la nascita delle figlie Beatrice e Laura, si trasferisce a Bologna, un ambiente assai colto e stimolante, dove insegna eloquenza italiana all’Università. Nasce anche il figlio Dante che però muore in giovanissima età. Carducci è duramente colpito dalla sua morte: nel giugno 1871 ripensando al figlio perduto compone “Pianto antico”. Negli anni ’60, lo scontento provocato in lui dalla debolezza dimostrata, a suo giudizio, in più occasioni dal governo postunitario sfociò in una ricca attività poetica a sfondo sociale e politico. Negli anni successivi Carducci passa da un atteggiamento violentemente polemico e rivoluzionario a un ben più tranquillo rapporto con lo stato e la monarchia che culmina nel 1890 con la nomina a senatore del regno. Nel 1906 al poeta viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura, le condizioni di salute non gli consentono di recarsi a Stoccolma per ritirare il premio che gli viene consegnato nella sua casa di Bologna. Si racconta che, sebbene stanco e malato, l’anziano poeta non avesse però perso la forza dialettica e il carattere deciso. Pare che, subito dopo aver ricevuto la visita del messo dell’Accademia di Svezia che gli portava la notizia del premio Nobel, come prima cosa abbia detto alla moglie: “Hai visto che non sono un cretino come tu hai sempre sostenuto?”
Il 16 febbraio 1907 Giosuè Carducci muore a causa di una cirrosi epatica nella sua casa di Bologna, all’età di 72 anni.

L’amore per la patria al di sopra di tutto: se si comprende a fondo questo motto la poetica carducciana risulta già spiegata nelle sue linee essenziali. Si aggiunga un innato amore per il bello, per la natura, un’incondizionata adesione alla vita nelle sue espressioni più genuine, e il quadro potrà dirsi completo. Il sentimento della vita, con i suoi valori di gloria, amore, bellezza ed eroismo, è senza dubbio la maggior fonte d’ispirazione del poeta, ma accanto a questo tema, non meno importante è quello del paesaggio.

Un altro grande tema dell’arte carducciana è quello della memoria che non fa disdegnare al poeta vate la nostalgia delle speranze deluse e il sentimento di tutto quello che non c’è più, anche se tutto viene accettato come forma della vita stessa

Il 23 novembre 1872 il poeta Giosuè Carducci scrisse un sonetto dal titolo “Il bove”, nel quale esponeva la propria concezione morale ed etica del mondo. Il componimento rappresenta una chiara sintesi dello stile e della poetica di Giosuè Carducci. Con poche e pittoresche pennellate il poeta ritrae un maestoso bue che incede lentamente attraverso un campo coltivato. Nella figura mansueta dell’animale Carducci condensa la propria concezione del mondo, fondata sull’osservanza dei principi etici e morali e sulla serenità dell’animo.

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,

0 che al giogo inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;

E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.

*Versi meravigliosi, incantevoli, bellissima immagine, una metafora profonda e di grande significato, spesso la meraviglia del divino non si trova in chissà quale manifestazione eclatante ma il poeta la trova nella paziente mansuetudine di quest’animale e nel suo sereno lavoro. Capolavoro del vate della letteratura italiana, una grande figura della cultura mondiale.

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